Femminismo: gli strumenti della vittoria

di Rino Barnart
settembre 2001

“Negli ultimi decenni le donne, grazie alle loro lotte, hanno fatto enormi passi avanti”. E' un’affermazione della cui verità nessuno dubita e dove le diversità di giudizio attengono solo alla questione se quell’avanzamento sia universale o viceversa parziale, ovvero se, pur essendo incompleto in molti campi, sia stato persino eccessivo in altri, opinione quest’ultima condivisa persino da qualche femminista ‘critica’ d’oltreoceano. A parte queste divergenze, si tratta di un fatto evidente ed inconfutabile.

C’è però qualcosa che non appare altrettanto evidente e che anzi rimane del tutto oscura e sin qui non spiegata. Chi infatti si domandasse con quali strumenti le donne abbiano combattuto e combattono le loro battaglie potrebbe rimanere sorpreso e sconcertato: dove sono le armi? Chi le ha viste?

E’ un fatto che, nella loro lotta, esse non hanno usato né armi materiali (quella 'spada' che anzi aborriscono), né il potere politico (la poltrona), né quello finanziario (la borsa). Non hanno usato né lo sciopero né il voto, come prova il fatto che le assemblee erano e sono ancor oggi in assoluta prevalenza maschili. Quali sono dunque gli strumenti, le armi impiegate per guadagnare la pole-position nel “campionato dei sessi”? A questa domanda le donne rispondono: “La nostra forza, la nostra volontà, il nostro coraggio sono state e sono le nostre armi”. Su questo non vi è dubbio, ma la risposta, come si vede, non dice nulla circa gli strumenti impiegati ed i metodi adottati.

Se non hanno usato armi materiali, visibili (e questo è un fatto) devono esser ricorse a quelle invisibili, a quelle che, non colpendo il corpo, colpiscono l’anima, la Psiche. Ora, gli strumenti a disposizione di chi voglia combattere in quel territorio invisibile che è la dimensione del Senso, non sono né molti né ignoti, si tratta infatti della colpa, della vergogna, del disvalore e della paura. Per cambiare il mondo (cioè gli uomini) per trasformarne i sentimenti e la volontà, per piegarli alle proprie ragioni, si devono usare gli strumenti adatti e questi sono appunto l’abbassamento morale, l’indebolimento psicologico, la compressione emotiva che si possono ottenere solamente attraverso la colpevolizzazione, il biasimo, la svalorizzazione e l’intimidazione.

Se si assume che le cose stiano in questo modo si capisce perché tutta la storia e tutta la cronaca, tutto il passato e tutto il presente vengano raccontati dal femminismo come manifestazioni di un millenario sopruso, di una infinita prevaricazione, di una “universale usurpazione” da parte maschile. Si capisce perché ogni forma di oppressione e di sfruttamento, ogni guerra ed ogni devastazione perpetrata ai danni delle cose, della natura e delle persone, sia imputata a quella “cultura del dominio” che sarebbe creazione autonoma, specifica del genere maschile. Si capisce perché tutti i torti subiti dalle donne migliaia di anni fa o a migliaia di chilometri di distanza (discriminazioni e umiliazioni, sfruttamenti e maltrattamenti, stupri ed abusi) vengano presentati ogni giorno come prova del male compiuto dai maschi, testimonianza di una colpa che deve essere espiata e di una vergogna che deve essere subita, accettata e patita dalle generazioni maschili presenti e future.

La storia come calvario e tragedia, sacrificio e martirio, è la colpa di un intero genere, un delitto di cui i maschi sono eredi e responsabili, responsabili in quanto eredi, un debito che tutti sono chiamati a saldare.

Se le armi sono colpa e vergogna, allora si capisce perché al male compiuto dagli uomini venga contrapposta l’immensità del bene prodotto dalle donne, al bellicismo maschile il pacifismo femminile, alla violenza degli uni l’amore e l’empatia delle altre. Da un simile confronto gli uomini non possono che uscire sbigottiti e prostrati, intaccati in profondità nella loro autovalutazione morale. Privi di valore e di prestigio di fronte al mondo, a se stessi ed ai loro figli.

Se una di quelle armi è la svalorizzazione dell’avversario, allora si capisce perché venga così spesso ricordata agli uomini la loro inutilità economica e la loro prossima superfluità riproduttiva e diventa anche chiaro il motivo per cui si celebrano le superiori qualità emotive, psicologiche e, di recente, intellettuali delle donne. Se sentirsi utili ed importanti dà forza, allora la via per indebolire ed annichilire l’avversario è rendergli chiaro che quando non è dannoso è banalmente inutile.

Se una di quelle armi è la paura, si capisce perché sia stata progressivamente abolita ogni certezza sul lecito e sull’illecito nelle relazioni affettive e fisiche con le donne e perché sia oggi codificata la regola (sin qui inaudita) che pone a carico degli accusati l’onere di provare la propria innocenza, come finalmente accade per accuse di offese e molestie. Insomma, se le armi di questo conflitto fossero davvero la colpevolizzazione, il dispregio, la svalorizzazione e l’intimidazione universali e permanenti del genere maschile, allora molte cose si chiarirebbero.

Diventerebbe chiara anche la ragione per la quale queste stesse armi non siano state rivelate dal femminismo, giacché è evidente che non sono né onorevoli né gloriose. Si tratta infatti di quegli stessi strumenti di annichilazione che il femminismo stesso denuncia - con santa ragione - quando vengono usati contro le donne. Di più, diverrebbe anche chiaro il motivo per il quale il femminismo nasconda a se stesso la natura di quelle armi, perché insomma le stesse donne occidentali siano incapaci di dire e di dirsi quali siano gli strumenti con i quali hanno ottenuto la vittoria. La "parte migliore del mondo" non potrà mai confessare a se stessa di aver usato e di usare le stesse armi letali, gli stessi vili strumenti che condanna quando vengono usati contro di Lei, di perpetrare quegli stessi crimini dei quali si proclama vittima. Non potrà riconoscerlo mai perché ne deriverebbe la perdita di quella condizione di innocenza di fronte a se stessa che è il fondamento della sua tracotanza morale, della sua presunzione intellettuale ed infine del suo potere. Esser ciechi a se stessi, mentire a se stessi è la condizione necessaria per diventare attivi profeti dell'utopia, apostoli di un qualche Ultimo-e-definitivo-Bene.

La conclusione è sconcertante, ma d'altra parte, come abbiamo visto, quello tra i sessi è un conflitto che non si combatte in una dimensione materiale bensì in quella immateriale del Senso, dove agiscono solamente forze morali.

Su questi fatti straordinari riflette oggi la nuova coscienza maschile.